Marx teorizza due fasi del comunismo, una detta “Comunismo rozzo” in cui la proprietà privata non è abolita del tutto, ma diviene una sorta di proprietà collettiva e il Comunismo vero e proprio in cui la proprietà privata è abolita del tutto; in questo quadro tra le due forme di Comunismo vi è una fase di transizione detta “Dittatura del proletariato”: ma quest’ultima non coincide con il “Comunismo rozzo”?
Sì e no. La locuzione “comunismo rozzo” appare nei Manoscritti del 1844. Marx la utilizza per sottoporre a critica le scuole socialiste precedenti (i cosiddetti “socialisti utopici“), che avevano formulato una visione piuttosto approssimativa, non-scientifica del “comunismo”. Esso veniva ancora inteso in senso borghese: ovvero come estensione “a tutti” dei diritti inerenti alla proprietà privata, e non come superamento della stessa (e quindi superamento del principale ostacolo verso una società non-classista, senza oppressi ed oppressori). Come dire: la fabbrica (la scuola), che prima apparteneva esclusivamente a tizio, ora è di tutti, quindi è anche mia. Da essa debbo ricevere una quota proporzionata di ricchezza (o di istruzione). Come tutti, senza alcuna differenza, senza tener conto delle mie reali capacità, del mio lavoro effettivo, di quante persone ho a casa da sfamare. Del tipo “6 politico” a scuola per tutti: basta la presenza…
Il comunismo marxiano invece fa riferimento ad un tipo nuovo di uomo, che è andato oltre l’idea della proprietà come mero possesso e del lavoro come fonte di guadagno. Si tratta di un uomo “economico e sociale” allo stesso tempo, che all’ “avere” è riuscito a sostituire l’ “essere”.
Nella Critica del programma di Gotha (1875) anche se la locuzione “comunismo rozzo” non è più testualmente usata, Marx distingue tra due diverse “fasi” di passaggio dalla società borghese a quella comunista: la prima, ancora incompleta e in fieri, che si verifica nei momenti convulsi della rivoluzione del proletariato, in cui la proprietà privata non viene superata, ma provvisoriamente sostituita con la proprietà dello Stato (statalizzazione); la seconda, invece, che rappresenta il vero punto d’arrivo della dialettica storico-materialistica, ovvero una società in cui verrà definitivamente superata ogni divisione di classe, di lavoro (manuale/intellettuale), di sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo (quindi anche dello Stato sull’individuo), per la quale varrà il motto: “ognuno secondo le sue capacità; a ognuno secondo i suoi bisogni.”
Ora, come vedi, nel primo caso (Manoscritti del 1844) la distinzione operata da Marx è relativa a due concetti diversi di comunismo, l’uno, quello “rozzo” attribuito ai “socialisti utopici”, con i quali Marx è in polemica, l’altro alla nuova prospettiva del “socialismo scientifico” (Marx utilizza indifferentemente i termini “socialismo” e “comunismo”). Nel secondo, invece, si parla di due diverse “fasi” della futura affermazione storica del comunismo, entrambe, per coerenza, ascrivibili al comunismo marxiano, ma ben distinte in quanto “differenti momenti nell’evoluzione dialettica della storia”. In quest’ultimo senso, è senz’altro possibile (ma vedi quante precisazioni è stato necessario fare!) concepire l’equivalenza “socialismo rozzo” = “dittatura del proletariato”.