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Platone: sull’educazione


«Se questo è vero», dissi, «dobbiamo concludere che l’educazione non è come la definiscono certuni che si professano filosofi.
Essi sostengono di instillare la scienza nell’anima che non la possiede, quasi infondessero la vista in occhi che non vedono». «In effetti sostengono questo», confermò.
«Ma il discorso attuale», insistetti, «rivela che questa facoltà insita nell’anima di ciascuno e l’organo che permette di apprendere devono essere distolti dal divenire assieme a tutta l’anima, così come l’occhio non può volgersi dalla tenebra alla luce se non assieme all’intero corpo, finché non risultino capaci di reggere alla contemplazione dell’essere e della sua parte più splendente; questo, secondo noi, è il bene. O no?» «Sì ».
«Può quindi esistere», proseguii, «un’arte della conversione, che insegni il modo più facile ed efficace di girare quell’organo. Non si tratta di infondervi la vista, bensì , presupponendo che l’abbia, ma che non sia rivolto nella giusta direzione e non guardi là dove dovrebbe, di adoperarsi per orientarlo da questa parte».
«Pare di sì », disse.
«Pertanto le altre cosiddette virtù dell’anima sono probabilmente vicine a quelle del corpo: in effetti, se all’inizio mancano, è facile che poi vengano infuse con l’abitudine e l’esercizio. Invece la virtù dell’intelletto, a quanto pare, riguarda più d’ogni altra un qualcosa di più divino, che non perde mai il suo potere e per effetto della conversione diventa utile e giovevole o viceversa inutile e dannoso. Non hai ancora notato come l’animuccia di quelli che sono considerati malvagi, ma in gamba, abbia uno sguardo penetrante e discerna con acutezza ciò a cui si rivolge, poiché la sua vista non è scarsa, ma è costretta a servire la malvagità, al punto che quanto più acutamente vede, tanto maggiori sono i mali che produce?» «Proprio così », rispose.
«Tuttavia», aggiunsi, «se a una natura simile fossero amputati sin dall’infanzia quella sorta di pesi di piombo congeniti al divenire, che si attaccano a lei con i cibi, i piaceri della gola e le leccornie e torcono la vista dell’anima verso il basso; se, liberatasi di essi, si convertisse alla verità, la stessa natura di queste persone vedrebbe la realtà con la massima acutezza, come vede ciò cui ora è rivolta».
«è logico», disse.

(Platone, Repubblica, Libro VII 518c-519b)

Autore:

Ho studiato filosofia presso l'Università degli Studi di Roma “La Sapienza” e mi sono laureato nel 1990, relatore il prof. Gabriele Giannantoni, con una tesi in storia della filosofia antica intitolata "Vivere significa morire: analisi di alcuni frammenti eraclitei". Sono socio della SFI - Società Filosofica Italiana di cui curo il sito web. Da alcuni anni mi interesso di Pratiche Filosofiche e Consulenza Filosofica, collaborando con riviste scientifiche del settore, sulle quali ho all'attivo decine di pubblicazioni. Dal 2004 svolgo la professione di Consulente Filosofico e ho promosso una serie di iniziative filosofiche (Caffè Philo, Dialogo Socratico, Seminari di gruppo) aperte al pubblico. Attualmente insegno filosofia e storia presso il Liceo "I. Vian" di Bracciano (Liceo Classico sezione X). Utilizzo la filosofia in pratica sia durante le lezioni ordinarie che in altre "straordinarie" occasioni (passeggiate filosofiche nel bosco, dialoghi socratici a tema, ecc.). A scuola provo a tener aperto uno "sportello" di consulenza filosofica rivolto ai grandi ed ai meno grandi.

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