Tutto è bene uscendo dalle mani dell’Autore delle cose, tutto degenera fra le mani dell’uomo. Egli sforza un terreno a nutrire i prodotti propri d’un altro, un albero a portare i frutti d’un altro; mescola e confonde i climi, gli elementi, le stagioni; mutila il suo cane, il suo cavallo, il suo schiavo; sconvolge tutto, altera tutto, ama le deformità, i mostri; non vuol nulla come l’ha fatto natura, neppure l’uomo; bisogna addestrarlo per sé, come un cavallo da maneggio; bisogna sformarlo a modo suo, come un albero del suo giardino. Senza di ciò, tutto andrebbe peggio ancora, e la nostra specie non vuol essere formata a mezzo. Nello stato in cui oramai le cose si trovano, un uomo, abbandonato a sé stesso fin dalla nascita, sarebbe fra gli altri il più alterato di tutti. I pregiudizi, l’autorità, la necessità, l’esempio, tutte le istituzioni sociali nelle quali ci troviamo sommersi, soffocherebbero in lui la natura e non metterebbero nulla al suo posto. Essa si troverebbe come un arboscello che il caso fa nascere in mezzo ad una strada, e che i passanti fanno perire presto, urtandolo da ogni parte e piegandolo in tutti i sensi. Mi rivolgo a te, madre tenera e previdente, che ti sapesti allontanare dalla via maestra, e sapesti garantire l’arboscello nascente dall’urto delle opinioni umane. Coltiva, annaffia la giovine pianta prima che muoia; i suoi frutti faranno un giorno la tua delizia. Innalza per tempo un recinto intorno all’anima del tuo figliuolo; un altro potrà tracciarne il circuito, ma tu sola devi collocarne la barriera. Si migliorano le piante con la coltivazione e gli uomini con l’educazione. Se l’uomo nascesse grande e forte, la sua statura e la sua forza gli sarebbero inutili fino a che non avesse imparato a servirsene; esse gli sarebbero dannose, impedendo agli altri di pensare ad assisterlo’; e, abbandonato a sé stesso morrebbe di miseria prima di aver conosciuto i suoi bisogni. Ci si lamenta dello stato d’infanzia; non si comprende che la razza umana sarebbe perita se l’uomo non avesse cominciato dall’essere fanciullo. Noi nasciamo deboli e abbiamo bisogno di forze; nasciamo sprovvisti di tutto e abbiamo bisogno di assistenza, nasciamo stupidi e abbiamo bisogno di giudizio. Tutto quello che non abbiamo dalla nascita e di cui abbisogniamo da grandi, ci è dato dall’educazione. Questa educazione ci viene o dalla natura, o dagli uomini, o dalle cose. Lo sviluppo interiore delle nostre facoltà e dei nostri organi è l’educazione della natura; l’uso che ci s’insegna a fare di questo sviluppo è l’educazione degli uomini; e l’acquisto della nostra esperienza sugli oggetti che ci commuovono è l’educazione delle cose. Ciascuno di noi è dunque educato da tre specie di maestri. Il discepolo, nel quale le loro diverse lezioni si contraddicono, è male educato e non si troverà mai d’accordo con sé stesso: colui invece nel quale tali insegnamenti cadono tutti sugli stessi punti e tendono ai medesimi fini, è il solo che proceda verso il suo scopo e viva coerente a sé stesso. Quegli solo è educato bene. Ora, di queste tre differenti educazioni, quella della natura non dipende da noi, e quella delle cose ne dipende solo sotto certi rispetti. Quella degli uomini è la sola di cui noi siamo veramente i padroni, benché non lo siamo che per supposizione; poiché chi può sperare di dirigere interamente i discorsi e le azioni di tutti coloro che circondano un fanciullo? Se dunque l’educazione è un’arte, è quasi impossibile che essa riesca, poiché il concorso necessario al suo buon successo non dipende da nessuno. Ciò che si può fare a forza di cure è di avvicinarsi più o meno alla meta; ma occorre una certa fortuna per raggiungerla. Qual è questo scopo? È quello stesso della natura, come è stato già provato. Poiché il concorso delle tre educazioni è necessario alla loro perfezione, occorre dirigere, su quella sulla quale non abbiamo alcun potere, gli sforzi delle altre due.
(Rousseau, Emilio)