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Rousseau: Uomo e natura. L’educazione di Emilio


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Tutto è bene uscendo dalle mani dell’Autore delle cose, tutto degenera fra le mani dell’uomo. Egli sforza un terreno a nutrire i prodotti propri d’un altro, un albero a portare i frutti d’un altro; mescola e confonde i climi, gli elementi, le stagioni; mutila il suo cane, il suo cavallo, il suo schiavo; sconvolge tutto, altera tutto, ama le deformità, i mostri; non vuol nulla come l’ha fatto natura, neppure l’uomo; bisogna addestrarlo per sé, come un cavallo da maneggio; bisogna sformarlo a modo suo, come un albero del suo giardino. Senza di ciò, tutto andrebbe peggio ancora, e la nostra specie non vuol essere formata a mezzo. Nello stato in cui oramai le cose si trovano, un uomo, abbandonato a sé stesso fin dalla nascita, sarebbe fra gli altri il più alterato di tutti. I pregiudizi, l’autorità, la necessità, l’esempio, tutte le istituzioni sociali nelle quali ci troviamo sommersi, soffocherebbero in lui la natura e non metterebbero nulla al suo posto. Essa si troverebbe come un arboscello che il caso fa nascere in mezzo ad una strada, e che i passanti fanno perire presto, urtandolo da ogni parte e piegandolo in tutti i sensi. Mi rivolgo a te, madre tenera e previdente, che ti sapesti allontanare dalla via maestra, e sapesti garantire l’arboscello nascente dall’urto delle opinioni umane. Coltiva, annaffia la giovine pianta prima che muoia; i suoi frutti faranno un giorno la tua delizia. Innalza per tempo un recinto intorno all’anima del tuo figliuolo; un altro potrà tracciarne il circuito, ma tu sola devi collocarne la barriera. Si migliorano le piante con la coltivazione e gli uomini con l’educazione. Se l’uomo nascesse grande e forte, la sua statura e la sua forza gli sarebbero inutili fino a che non avesse imparato a servirsene; esse gli sarebbero dannose, impedendo agli altri di pensare ad assisterlo’; e, abbandonato a sé stesso morrebbe di miseria prima di aver conosciuto i suoi bisogni. Ci si lamenta dello stato d’infanzia; non si comprende che la razza umana sarebbe perita se l’uomo non avesse cominciato dall’essere fanciullo. Noi nasciamo deboli e abbiamo bisogno di forze; nasciamo sprovvisti di tutto e abbiamo bisogno di assistenza, nasciamo stupidi e abbiamo bisogno di giudizio. Tutto quello che non abbiamo dalla nascita e di cui abbisogniamo da grandi, ci è dato dall’educazione. Questa educazione ci viene o dalla natura, o dagli uomini, o dalle cose. Lo sviluppo interiore delle nostre facoltà e dei nostri organi è l’educazione della natura; l’uso che ci s’insegna a fare di questo sviluppo è l’educazione degli uomini; e l’acquisto della nostra esperienza sugli oggetti che ci commuovono è l’educazione delle cose. Ciascuno di noi è dunque educato da tre specie di maestri. Il discepolo, nel quale le loro diverse lezioni si contraddicono, è male educato e non si troverà mai d’accordo con sé stesso: colui invece nel quale tali insegnamenti cadono tutti sugli stessi punti e tendono ai medesimi fini, è il solo che proceda verso il suo scopo e viva coerente a sé stesso. Quegli solo è educato bene. Ora, di queste tre differenti educazioni, quella della natura non dipende da noi, e quella delle cose ne dipende solo sotto certi rispetti. Quella degli uomini è la sola di cui noi siamo veramente i padroni, benché non lo siamo che per supposizione; poiché chi può sperare di dirigere interamente i discorsi e le azioni di tutti coloro che circondano un fanciullo? Se dunque l’educazione è un’arte, è quasi impossibile che essa riesca, poiché il concorso necessario al suo buon successo non dipende da nessuno. Ciò che si può fare a forza di cure è di avvicinarsi più o meno alla meta; ma occorre una certa fortuna per raggiungerla. Qual è questo scopo? È quello stesso della natura, come è stato già provato. Poiché il concorso delle tre educazioni è necessario alla loro perfezione, occorre dirigere, su quella sulla quale non abbiamo alcun potere, gli sforzi delle altre due.

(Rousseau, Emilio)

Autore:

Ho studiato filosofia presso l'Università degli Studi di Roma “La Sapienza” e mi sono laureato nel 1990, relatore il prof. Gabriele Giannantoni, con una tesi in storia della filosofia antica intitolata "Vivere significa morire: analisi di alcuni frammenti eraclitei". Sono socio della SFI - Società Filosofica Italiana di cui curo il sito web. Da alcuni anni mi interesso di Pratiche Filosofiche e Consulenza Filosofica, collaborando con riviste scientifiche del settore, sulle quali ho all'attivo decine di pubblicazioni. Dal 2004 svolgo la professione di Consulente Filosofico e ho promosso una serie di iniziative filosofiche (Caffè Philo, Dialogo Socratico, Seminari di gruppo) aperte al pubblico. Attualmente insegno filosofia e storia presso il Liceo "I. Vian" di Bracciano (Liceo Classico sezione X). Utilizzo la filosofia in pratica sia durante le lezioni ordinarie che in altre "straordinarie" occasioni (passeggiate filosofiche nel bosco, dialoghi socratici a tema, ecc.). A scuola provo a tener aperto uno "sportello" di consulenza filosofica rivolto ai grandi ed ai meno grandi.

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