Pubblicato in: istantanee, politica mente, pratica filosofica

Rifiuti, isolamento, infelicità


Finché non torneremo a renderci profondamente conto che quel che ci tiene in vita, quel che noi chiamiamo “vita” è identico a ciò che tiene in vita gli alberi, l’erba, i fiori, gli insetti, non libereremo noi stessi e il mondo dal fardello di sofferenza indotta dalla nostra mente.
Usiamo il verbo “tornare” a tale consapevolezza perché essa era presente a tutte le civiltà antiche. Questo finché il rapporto con la madre-terra non è stato reciso dall’iperfetazione della dimensione tecnico-concettuale. Imparando a pensare per concetti astratti abbiamo disimparato a sentire. Imparando a costruire “cose utili” per facilitarci la vita, abbiamo finito con il “cosalizzare” il mondo intero. Questa è l’esperienza “normale” – se così si può definire – di quella parte di umanità che vive immersa nell’ “artificiale”. Dunque, con “tornare” intendiamo “tornare alla conoscenza di se stessi”, a ri-scoprire il cordone ombelicale che ci unisce alla terra e al Tutto.
“Sofferenza” e “infelicità” sono stati psico-fisici diversi. Si può soffrire senza necessariamente sentirsi infelici. O piuttosto essere infelici senza patire, al momento presente, alcuna sofferenza. La sofferenza, entro certi limiti, è connaturata a qualsivoglia esperienza umana. E su di essa le nostre decisioni, la nostra consapevolezza può ben poco. Non c’è piacere senza dolore, né gioia senza tristezza, né salute senza malattia. Con l’infelicità, invece, possiamo (provare a) confrontarci. La sua radice più profonda si chiama “isolamento”, “disconnessione”. Infelicità è lo stato mentale che ci fa credere – illusoriamente – di essere separati dal Tutto reale e naturale cui apparteniamo. L’infelicità umana è un elemento essenziale dell’attuale crisi ambientale. Non la tecnologia in sé, ma l’uso disarmonico e irrispettoso che un’umanità dolente ne fa. L’isolamento genera altro isolamento, lascia “sfiorire” la natura intorno a noi, sopprime, nel sofferente, l’esigenza di “reciprocità curativa” che dovrebbe contraddistingue l’umano “pastore dell’Essere”, per usare una celebre definizione di Heidegger.

(Chico Xavier Pilado)

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Autore:

Ho studiato filosofia presso l'Università degli Studi di Roma “La Sapienza” e mi sono laureato nel 1990, relatore il prof. Gabriele Giannantoni, con una tesi in storia della filosofia antica intitolata "Vivere significa morire: analisi di alcuni frammenti eraclitei". Sono socio della SFI - Società Filosofica Italiana di cui curo il sito web. Da alcuni anni mi interesso di Pratiche Filosofiche e Consulenza Filosofica, collaborando con riviste scientifiche del settore, sulle quali ho all'attivo decine di pubblicazioni. Dal 2004 svolgo la professione di Consulente Filosofico e ho promosso una serie di iniziative filosofiche (Caffè Philo, Dialogo Socratico, Seminari di gruppo) aperte al pubblico. Attualmente insegno filosofia e storia presso il Liceo "I. Vian" di Bracciano (Liceo Classico sezione X). Utilizzo la filosofia in pratica sia durante le lezioni ordinarie che in altre "straordinarie" occasioni (passeggiate filosofiche nel bosco, dialoghi socratici a tema, ecc.). A scuola provo a tener aperto uno "sportello" di consulenza filosofica rivolto ai grandi ed ai meno grandi.

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