Pubblicato in: scuola

Dalla retorica delle “classi pollaio” alle “classi vuote” (da riempire costi quel che costi)


Non amo utilizzare questo mezzo per parlare di scuola. Ho la sensazione, netta, di perdere il mio tempo alimentando il vano chiacchiericcio del tutti contro tutti, del “mi piace” e “non mi piace”, della “caciara”, come si dice a Roma, niente affatto divertente. Ché, alla fine, non conviene a nessuno, né agli studenti, né a quei docenti, i quali, nonostante tutto e tutti, ancora provano a svolgere la loro professione con un minimo di dignità ed onestà intellettuale. Delle opinioni non so che farmene. Tanto meno delle polemiche ad usum plebis o ad usum Delphini. Ma quando sento messa all’angolo la logica più elementare, dopo una vita dedicata alla filosofia, qualcosa mi spinge ancora a prendere la parola. Fatta questa premessa, cercherò di essere sintetico.

Vi riporto qui sotto due articoli di giornali online. Il primo risale al 17 febbraio 2020, quando ancora l’ondata della pandemia non si era abbattuta sulle nostre scuole (né sulla società civile in senso lato). L’altro è di ieri 31 dicembre 2020.

https://finanza.repubblica.it/…/scuola_classi_pollaio…/

https://ilmanifesto.it/il-senato-respinge-lemendamento…/

Nel primo si parlava dell’ «emendamento del M5S al decreto Milleproroghe con cui si intende porre un freno alle classi numerose: vengono stanziati 55 milioni di euro in tre anni per intervenire laddove il numero di iscritti sia superiore a 22 alunni, ridotti a 20 in presenza di studenti con grave disabilità certificata», cui seguiva una personale nota di esultanza dell’attuale ministro dell’istruzione. Questa notizia, basta fare una banale ricerca sulla rete, fu riportata, a suo tempo, dalla gran parte degli organi di stampa che si interessano di scuola.

Nel secondo, si riporta la notizia della bocciatura di un emendamento presentato in Senato dalla senatrice Paola Nugnesche di Rifondazione Comunista con il quale si intendeva ritornare sull’annosa questione delle “classi pollaio” diminuendo il numero di studenti per classe a 15. La notizia è riportata soltanto dal Manifesto online, almeno ad oggi. Che sia il Manifesto a darne notizia, è un’ovvietà. Non dovrebbe essere altrettanto ovvio che il resto degli organi di informazione non consideri la notizia degna di nota. A meno che non si tratti di una notizia falsa (possibile?).

Al di là dei soggetti politici (M5S, PRC), che non hanno alcuna rilevanza ai fini della sostanza del presente discorso, è lecito porsi alcune domande (in chiusura).

Partiamo da un’altra evidenza fattuale, che, per brevità, non argomenterò (ma sulla quale, mi sembra, siano tutti più o meno d’accordo). Se si volesse intervenire concretamente per affrontare i problemi che affliggono da più di un quarto di secolo la scuola pubblica italiana (marcando la differenza con i sistemi scolastici “più evoluti”), occorrerebbe mettere mano, per gradi, alle seguenti questioni:

1) “classi pollaio”, ovvero diminuire il dividendo che si usa per formare le classi (attualmente si aggira intorno ai 27 alunni per le classi iniziali, più eventuali resti: per un quadro dettagliato si veda https://www.oggiscuola.com/…/parametri-per-la…/);

2) infrastrutture inadeguate (se ne parla da anni: ha senso questionare della potenza del wifi, quando le finestre delle aule cadono a pezzi o la temperatura delle stesse, d’inverno, scende sotto i 15 gradi costringendo docenti e studenti a fare lezione con la giacca a vento?);

3) formazione, selezione e reclutamento dei docenti improntati su alti standard qualitativi e centrati sulle reali esigenze didattiche, nonché progressiva abolizione del precariato (una vera e propria piaga indegna di un paese civile);

4) adeguamento dei salari del personale scolastico agli standard europei.

Beninteso, la pandemia da covid ha imposto sin qui, comprensibilmente, strategie di corto o cortissimo respiro, basate sull’aleatorietà del clima emergenziale. Ma, insieme, ha vieppiù evidenziato i suddetti problemi (per chi non chiuda gli occhi sulla realtà fattuale).

Rebus sic stantibus, dedicarsi in maniera ossessiva e reiterata ad altre questioni (vado a casaccio: PCTO, educazione civica, progettifici, banchi monoposto, ecc.) equivale, mi si consenta la metafora, a preoccuparsi di battere i tappeti o di spolverare quando ti piove dentro casa e i muri schricchiolano.

Discutere di percentuali di alunni in presenza 25%, 50%, 75%, per questa o quella settimana suona altrettanto pretestuoso quando non si sia messo mano (e non si abbia intenzione o possibilità di farlo) ad affrontare i suddetti problemi. Peraltro, è assai probabile, si torni ad assistere alla stessa tragicommedia che ha contraddistinto i primi mesi di scuola: mezza classe dentro, mezza fuori, una settimana sì e una no, un giorno sì e uno no, DDI, spray, mascherina, DDT, prima caso con classe in quarantena, tampone numero uno, secondo caso, tampone due, collega ricoverato in gravi condizioni, collega spirato, alunni di cui si perdono le tracce, tutti in DAD con docenti obbligati ad andare a scuola, poi tutti in DAD da casa, ecc. Possibilità di programmare le attività didattiche: zero. Dodici o più ore di lavoro al giorno con le sirene dei media che, a ritmo sostenuto, ripetono che le scuole sono chiuse e che nessuno fa niente… Dal coprifuoco natalizio al “tana libera tutti” all’uscita da scuola… Speriamo di no…

Su quest’ultima questione mi sento di concordare appieno con la posizione espressa dai colleghi del Liceo Tasso di Roma (https://ilmanifesto.it/…/basta-propaganda-sulla…/…).

Infine, le domande: che ne è dei 55 milioni per tre anni stanziati a febbraio 2020 per avviare a soluzione la questione delle “classi pollaio”? Nel nostro liceo, in piena emergenza da covid (quando, quindi, si sarebbe potuto, quanto meno, intervenire in deroga per salvare le classi scese sotto gli attuali parametri ministeriali), abbiamo perso 3-4 classi, creando “pollai” ancor più affollati.

L’emendamento bocciato il 31 dicembre (pretestuoso? di parte? fuori tempo massimo? può darsi…) non andava forse nella medesima direzione imboccata dal governo a suo tempo? Perché non ne parlano nemmeno i giornali “di opposizione”?

È sempre valido il mantra thatcheriano “there is no alternative” (tradotto in italiano: “non ci sono soldi”)? Se sì, che senso ha parlare di politiche scolastiche?

Ho l’impressione che si tratti, ça va sans dire, di domande retoriche…

Buon anno a tutti, colleghi e studenti!

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Autore:

Ho studiato filosofia presso l'Università degli Studi di Roma “La Sapienza” e mi sono laureato nel 1990, relatore il prof. Gabriele Giannantoni, con una tesi in storia della filosofia antica intitolata "Vivere significa morire: analisi di alcuni frammenti eraclitei". Sono socio della SFI - Società Filosofica Italiana di cui curo il sito web. Da alcuni anni mi interesso di Pratiche Filosofiche e Consulenza Filosofica, collaborando con riviste scientifiche del settore, sulle quali ho all'attivo decine di pubblicazioni. Dal 2004 svolgo la professione di Consulente Filosofico e ho promosso una serie di iniziative filosofiche (Caffè Philo, Dialogo Socratico, Seminari di gruppo) aperte al pubblico. Attualmente insegno filosofia e storia presso il Liceo "I. Vian" di Bracciano (Liceo Classico sezione X). Utilizzo la filosofia in pratica sia durante le lezioni ordinarie che in altre "straordinarie" occasioni (passeggiate filosofiche nel bosco, dialoghi socratici a tema, ecc.). A scuola provo a tener aperto uno "sportello" di consulenza filosofica rivolto ai grandi ed ai meno grandi.

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