Ogni essere umano, per poco dotato che sia, per subordinata che sia la sua posizione nella vita, ha un naturale bisogno di darsi una concezione della vita, una rappresentazione del significato della vita e dello scopo di questa. Anche colui che vive esteticamente fa così, e l’abituale espressione che in tutti i tempi e a partire dai diversi stadi s’è udita, è la seguente: «Si deve godere la vita!». Le variazioni che l’espressione subisce sono naturalmente moltissime a seconda della diversità della rappresentazione del godimento, ma in tale «si deve godere la vita» esse convengono tutte d’accordo. Ma colui che dice di voler godere la vita pone sempre una condizione che o giace al di fuori dell’individuo, o nell’individuo in modo da non essere grazie all’individuo stesso. Voglio pregarti su quest’ultimo punto di tener un po’ fermi i termini, dal momento che son stati deliberatamente scelti. Dunque percorriamo del tutto in breve questi stadi al fine di raggiungere il luogo che sei tu. Tu sarai forse già un po’ indispettito per l’espressione generale del vivere esteticamente che ho impiegato, e però è ben difficile poterne da parte tua negare l’esattezza. Assai frequentemente ti si ode beffeggiare la gente dicendo che «non sa godere la vita», mentre tu stesso, all’incontrario, credi di aver studiato la cosa a fondo, punto per punto. Ed è possibilissimo che coloro non capiscano una tal cosa; ma quanto all’espressione, sì, essi sono pur d’accordo con te.
Dunque tu sospetti forse che in quest’ordine di considerazioni verrai a essere accoppiato a persone che se non altro ti sono abominevoli. Opini forse che io dovrei esser così galante da trattarti da artista, da non proferire parola sui cialtroni, grazie ai quali puoi avere tormenti a basta nella vita, e con i quali in nessun modo desideri avere alcunché di comune. Tuttavia non posso aiutarti, perché con loro tu hai pur qualcosa di comune, ed è un qualcosa d’estremamente essenziale, la concezione della vita, appunto; e ciò in cui sei diverso da loro è ai miei occhi un qualcosa d’inessenziale. Non posso far a meno di ridere di te, e vedi, mio giovane amico, è una maledizione che t’accompagna questa dei molti confratelli d’arte che trovi e che non intendi minimamente riconoscere! Tu corri il pericolo di venir a essere in cattiva e volgare compagnia, tu che sei così distinto! Non nego che riesca sgradevole avere la concezione della vita in comune con chicchessia gaudente o Jagdliebhaber […] Ma non che insomma sia pur del tutto questo il tuo caso, perché, come mostrerò poi, in un certo grado tu giaci al di là dell’ambito estetico.
(S. Kierkegaard, Enten-Eller, a cura di A. Cortese, Adelphi, Milano 1989)