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Non attaccare la persona, ma le sue argomentazioni.
L’uso del cosiddetto “argumentum ad hominem”, una figura retorica nota sin dall’antichità, dovrebbe essere bandito da qualsivoglia dialogo scientifico o filosofico. È pretestuoso provare a confutare gli altrui argomenti puntando il dito sul comportamento in pubblico del proprio interlocutore o, peggio ancora, su fatti privati.
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Non deformare o ingigantire l’argomento di una persona per attaccarlo meglio.
Evitare il cosiddetto “argomento fantoccio”: occorre rimanere entro i limiti del detto, senza stravolgere le argomentazioni del proprio interlocutore, spostandole in altri contesti o ampliandole a dismisura la validità.
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Non usare il particolare per rappresentare il generale.
Evitare la “generalizzazione affrettata”: non si può indurre da uno o da pochi casi particolari un’affermazione tendenzialmente universale.
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Non sostenere la tua argomentazione dando per scontato che una o più premesse siano vere.
Evitare la cosiddetta “petizione di principio” (o “circulus in probando”): non si può supportare una tesi mediante ripetizione della tesi stessa con parole diverse. Conclusione e premesse devono essere ben distinte.
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Non sostenere che ciò che è accaduto prima sia per forza causa di ciò che accade in seguito.
Ovvero il cosiddetto post hoc, ergo propter hoc: due fatti in successione cronologica non sono necessariamente collegati da un nesso causale.
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Non ridurre il tuo argomento a due sole possibilità estreme, bianco o nero.
Ovvero la cosiddetta “falsa dicotomia” che consiste nel ridurre capziosamente le possibilità di scelta a due sole messe tra loro in contrapposizione, senza tener conto dell’ampia zona di “grigio” che contraddistingue il reale (soggettivo ed oggettivo).
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Non sostenere che un’argomentazione è vera solo perché non ti dimostrano che è falsa o viceversa.
Evitare il cosiddetto “argomentum ad ignorantiam”: nessuna ricerca ha il carattere della definitività. Il fatto che sinora non si è potuto stabilire con certezza una determinata tesi, non implica che essa sia necessariamente falsa.
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Non far ricadere l’onere della prova su chi contesta la tua tesi.
L’“onere della prova” ricade sempre su colui che sostiene una tesi, non su chi la mette in discussione. Il fatto che il mio interlocutore non riesca a confutare la mia tesi con argomenti convincenti non significa che la mia tesi sia necessariamente vera.
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Non sostenere che da “questo” derivi “quello” quando manca una precisa connessione logica.
Ovvero la fallacia denominata “non sequitur”: i due elementi che si mettono in relazione devono essere logicamente collegati tra di loro e riferirsi allo stesso ambito di significati, non basta l’analogia o la successione cronologica.
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Non affermare che, siccome una premessa è assai popolare, essa sia necessariamente vera.
Guardati dal cosiddetto “argumentum ad judicium” o “argumentum ad populum”: il fatto che una tesi sia molto popolare o sia sostenuta dai più non significa affatto che sia vera.