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La filosofia ha origine dalla meraviglia (video-lezione)
Platone, Teeteto, 155 c–d
Teeteto – Per gli dèi!, Socrate, io mi trovo straordinariamente pieno di meraviglia: che cosa sono mai queste rappresentazioni? E qualche volta quando concentro veramente l’attenzione su di esse, mi vengono le vertigini.
Socrate – […] È proprio tipico del filosofo quello che tu provi, l’essere pieno di meraviglia: il principio della filosofia non è altro che questo, e chi ha letto che Iride è figlia di Taumante sembra che non abbia tracciato una cattiva genealogia.
Aristotele, Metafisica, I, 2, 982 b
Tutti gli uomini tendono per natura alla conoscenza: ne è un segno evidente la gioia che essi provano per le sensazioni […]. Gli uomini, all’inizio come adesso, hanno preso lo spunto per filosofare dalla meraviglia, poiché dapprincipio essi si stupivano dei fenomeni più semplici e di cui essi non sapevano rendersi conto, e poi, procedendo a poco a poco, si trovarono di fronte a problemi più complessi, quali le condizioni della Luna e quelle del Sole, e le stelle e l’origine dell’universo. Chi è in uno stato d’incertezza e di meraviglia crede di essere ignorante (perciò anche chi ha interesse per le leggende è, in un certo qual modo, filosofo, giacché il mito è un insieme di cose meravigliose); e quindi, se è vero che gli uomini si diedero a filosofare con lo scopo di sfuggire all’ignoranza, è evidente che essi cercavano di conoscere per puro amore del sapere e non per qualche bisogno pratico. E ne è testimonianza anche il corso degli eventi, giacché solo quando ebbero a disposizione tutti i mezzi indispensabili alla vita e quelli che procurano comodità e benessere, gli uomini cominciarono a cercare questa specie di conoscenza. È chiaro allora che noi ci dedichiamo a questa indagine senza mirare ad alcun vantaggio esteriore, ma, come noi chiamiamo libero un uomo che vive per sé e non per altro, così anche consideriamo tale scienza.
Il virus, da un punto di vista filosofico
Sottopongo alla vostra attenzione il lucidissimo contributo dell’amico Neri Pollastri.
Buona lettura!

Virus, madre natura e stoltezza umana: che significa vincere la guerra contro l’attuale pandemia? Per un flashmob filosofico
Che l’umanità sappia affrontare con coraggio, determinazione e solidarietà anche le prove più impegnative della vita e della storia, è noto. E lo confermano anche i flashmob con cui gli italiani manifestano la propria reazione contro l’attuale epidemia e la loro gratitudine per ricercatori, medici, infermieri, volontari che in questa lotta comune si trovano in prima linea. Di questa nostra capacità di re-agire – o resilienza – specialmente in questi giorni e del tutto comprensibilmente si sente parlare anche con accenti bellici: siamo in guerra contro un nemico invisibile e nessuno deve disertare. Come invece fanno sempre coloro che, con maggiore o minore cinismo, persino delle più gravi calamità cercano soltanto di capire come sfruttarle al meglio per i propri fini egoistici: economici, politici, di vanitosa notorietà. Ma lasciamo pure al loro mestiere i parassiti della sofferenza. È a coloro che sono solidali con quanti sono maggiormente provati da questa epidemia che vorrei fare una modestissima proposta, nella speranza che non suoni eccessivamente strana.
L’auspicio che spesso e giustamente si sente in questi giorni è che dalla ‘guerra’ contro l’attuale pandemia si possa uscire non solo quanto prima, ma anche migliorati. E proprio qui il punto: cosa significa vincere la guerra contro il virus e migliorare noi stessi? Indubbiamente significa contenere e alla fine sconfiggere la pandemia. Ma non dovrebbe significare anche accrescere la nostra critica consapevolezza di come dovremo comportarci in futuro per non ritrovarci di nuovo in simili situazioni? Dobbiamo vincere per poter ricominciare tutto come prima?
Continua a leggere “Virus, madre natura e stoltezza umana: che significa vincere la guerra contro l’attuale pandemia? Per un flashmob filosofico”CHE COSA PROMETTE LA FILOSOFIA
Uno si consigliò con lui sul modo di persuadere il fratello a non serbargli astio. «La filosofia — rispose — non promette di procurare all’uomo qualcuno dei beni esterni, altrimenti si assumerebbe un compito che è fuori della propria materia. La materia del falegname è il legno, dello scultore il bronzo; allo stesso modo, l’arte del vivere ha per materia la vita stessa di ciascuno».
— E che ne è, allora, della vita di mio fratello? — Essa è, per sé, materia della sua arte, ma rispetto alla tua rientra tra gli oggetti esterni, come un campo, come la salute, come la reputazione. E di queste cose la filosofia non ne promette alcuna. «In ogni circostanza (essa dice) baderò che si mantenga conforme alla natura la parte direttrice dell’anima. Di chi? Di colui nel quale mi trovo.»
— Ma come non s’irriterà più con me mio fratello?
— Portalo da me e glielo dirò: a te, per quanto riguarda la sua ira, non ho niente da dirti.
Ma quello che aveva richiesto il suo consiglio, continuò: «Cerco precisamente in che modo possa rimanere conforme alla natura, io, pur se mio fratello non si riconcili con me».
Allora Epitteto gli rispose: «Niente di grande si produce d’un subito, come neppure l’uva né il fico: se adesso mi dici: ‘voglio un fico’, ti risponderò: ‘ci vuole del tempo: lascia che prima fiorisca, quindi getti il frutto, quindi maturi. E se il frutto del fico non giunge a maturità d’un subito e in un’ora sola, vuoi raccogliere il frutto d’uno spirito umano così in breve e facilmente? Non aspettartelo, anche se io te lo prometta».
(Epitteto, Diatribe, I, XV)
Se i più dedicassero alla cura e al perfezionamento morale di sé il tempo che spendono in vane contumelie, lamentandosi del prossimo, imprecando contro la sorte o il “sistema”, oppure fantasticando ad occhi aperti di improbabili utopie, forse, vivremmo tutti in un mondo umanamente migliore. Per cura di sé intendo quel complesso di esercizi spirituali – ogni cultura umana, in ogni tempo, ne ha prodotti di validi ed efficaci – in grado di trasformare paura, rabbia, violenza, odio, desiderio sfrenato nel loro opposto, coraggio, gentilezza, accettazione, comprensione, pazienza. Si tratta, in una parola, di trasformare il surplus di sofferenza di cui ci carichiamo per ignoranza in una inesauribile riserva di gioia e serenità. A questo risultato non si giunge attraverso facili scorciatoie: la paura si vince con la consapevolezza, la rabbia con l’ “empatia”, violenza e odio con la “simpatia”, il desiderio sfrenato con la continenza. Doti, queste, che si possono sviluppare solo attraverso un allenamento duro e costante, una vera e propria disciplina olimpionica. L’oggetto di tale disciplina è, per ognuno di noi, il proprio Sé. “Filosofia” è il nome che i nostri avi hanno dato a questa “arte del vivere che ha per materia la vita stessa”. È un mestiere che si impara a bottega e ha come scopo il “ben vivere”. Richiede fatica e sacrificio quotidiano, applicazione costante, coraggio, dignità. È un’arte dinanzi alla quale il tempo si inchina; al potente tremano le ginocchia; l’idiota sussulta; l’uomo dabbene è colto da un fremito di vitalità. Il più grande dei guerrieri è chi, misurandosi lealmente con se stesso, è riuscito a vincere la battaglia della vita. Di lui si potrà dire che è vissuto. Ma la vita dei più, indaffarati a cambiare, pretestuosamente, quel che è non è in loro potere, scorrerà via come un sogno senza risveglio.
Faccio il professore di filosofia e mi sento un uomo molto fortunato
Credetemi, sono un uomo fortunato. A sedici anni mi sono innamorato della filosofia come esperienza di vita vissuta. E questo amore ancora non mi abbandona. Vent’anni dopo ho superato il concorso per l’insegnamento nelle scuole superiori e sono diventato professore di storia e filosofia in un liceo classico. Il tutto in maniera fortunosa e rocambolesca. Va sottolineato, dal momento che scrivo in italiano e vivo in Italia (!). Davvero fortunato.
Non sto facendo dell’ironia. Anche se quella ironica è una maschera che indosso così spesso da non riuscire più a distinguere il mio vero volto. Ammesso che si possa parlare di un “vero volto”. In classe come nella vita di tutti i giorni. Continua a leggere “Faccio il professore di filosofia e mi sento un uomo molto fortunato”
Sull’origine del termine “filosofia”
Si narra che sul frontone della porta che conduceva all’interno del Tempio d’Apollo in Delfi fossero scolpite queste parole: «Uomo, conosci te stesso (Γνῶθι σεαυτόν), conosci i tuoi limiti». In esse è racchiuso il senso più profondo dell’antica sapienza ellenica (la morale delfica dei cosiddetti “Sette Savi“). L’esser sapiente, per un uomo, implica la consapevolezza della sua condizione fragile, instabile, comunque passeggera. La conoscenza cui ha accesso la natura umana è ombra fugace rispetto alla perpetua luminosità del dio. Edipo, che pure aveva fama di essere il più sapiente tra gli uomini per aver risolto il terribile enigma della Sfinge, è tanto “ignorante” intorno alla sua propria condizione esistenziale ed autobiografica, da giungere ad uccidere il padre e a giacere con la donna che l’aveva partorito. Presa coscienza dell’orribile delitto di cui per ignoranza si era macchiato, egli si priverà della vista, andando errabondo per l’Ellade a significare, con la sua stessa persona, quanta dolorosa follia vi è nell’umana pretesa di voler eguagliare gli dèi quanto a sapienza. “Sapiente”, in un certo senso, non può che essere colui che ha fatto umilmente propria la consapevolezza dell’ignoranza che caratterizza il genere umano. Una condizione che, però, non produce rassegnazione, abbattimento, bensì gioioso desiderio di conoscere, di esplorare i limiti della propria coscienza, il “perimetro gnoseologico (conoscitivo)” che gli dèi, pure, hanno concesso ai mortali. Per questo egli può dirsi, letteralmente, φιλόσοφος, colui che ama (φιλεῖν) il sapere (σοφία), ama ciò che non possiede. Condizione felice pur nella sua “insostenibile leggerezza”: pacifica brama di bramare, consapevolezza del posto che gli spetta nell’ordine (κόσμος) del mondo. La definizione del concetto di “filosofia” compare per la prima volta nel Simposio di Platone, dove questi si interroga intorno alla natura e alle origini di Eros, dio dell’amore. Come Eros, il filosofo è “amante” piuttosto che “amato”. Chi è mosso da Eros lo fa per necessità, perché si sente “mancante”, “sprovvisto” di qualcosa. Ciò cui anela il filosofo è la “bellezza” congiunta al sapere. “Bello”, “buono” e “vero” sono la stessa cosa. Il sapere di cui parlano gli antichi non è “astrazione”, “nozionismo tecnico” disincarnato dal soggetto umano. È piuttosto capacità di saper vivere realizzando appieno la propria natura, nella bellezza e in armonia col Tutto. Ecco perché non “ci si accosta” alla filosofia, bensì, come afferma Platone, ad essa, intesa come modo di vita, “ci si converte”.
In un altro dialogo denominato Teeteto, Platone pone sulla bocca di Socrate queste parole: «Ed è proprio del filosofo questo che tu provi, di essere pieno di meraviglia; né altro cominciamento ha il filosofare che questo; e chi disse che Iride fu generata da Taumante non sbagliò, mi sembra, nella genealogia (55d)». Con questo egli intendeva dire che lo stimolo a porsi domande filosofiche è connesso alla capacità di “meravigliarsi” (θαυμάζω): la filosofia, dunque, trarrebbe origine dalla meraviglia, che può essere intesa sia in senso positivo (curiosità, stupore) che negativo (sbigottimento, spavento, confusione). Le domande filosofiche, infatti, sorgono quando ci troviamo di fronte ad un problema concreto, ossia nel momento in cui siamo “in preda” ad un incontrollato “stupore”. Non possiamo proprio fare a meno di pensare a quel dato problema, che di primo acchito ci appare come inusitato, irrisolvibile, sconvolgente. È la meraviglia a mettere in moto il pensiero, per tirarsi fuori dai guai, per affrontare un pericolo incombente, oppure per esplorare nuovi territori e orizzonti sconosciuti. È il contrastante, lacerante fascino dello “sconosciuto”, che da una parte ci respinge, dall’altra ci attrae. Come tuffarsi in mare per la prima volta, o provare a stringere la mano di quella ragazzina che ci fa battere più forte il cuore. La capacità di meravigliarsi contraddistingue il saggio così come il bambino. Per questo, si suole dire, tutti i bambini sono per natura “filosofi”. Senza meraviglia non c’è vera gioia. Un sapere che non dà gioia, che non ci fa progredire spiritualmente come esseri umani, non vale granché. Il vero sapere è sempre fine a se stesso, mai mezzo per qualche altra cosa, come la vita in sé o il sorriso delle persone che si amano. L’essere umano, con le sue esigenze e le sue fragilità, deve essere mantenuto sempre al centro di questo processo conoscitivo. Questa è l’unica ricerca per la quale vale davvero la pena di vivere.
Discorso del maestro Zen Thich Nhat Hanh del 21 giugno 2009
Buongiorno caro Sangha,
oggi è domenica, 21 giugno 2009 e ci troviamo riuniti nella sala di meditazione Assembly of Stars a Lower Hamlet. È l’ultimo giorno del nostro ritiro di giugno, ventuno giorni esatti. Molti di noi vorrebbero che il ritiro duri più a lungo. Perché no? Basta che cancelliate i vostri voli di ritorno e faremo in modo che il ritiro si protragga sino alla fine di giugno, fino a luglio, agosto e così via. Domani, come sapete, i residenti stabili di Plum Village cominceranno un periodo di ozio, ci concederemo ben cinque giorni “oziosi” di fila! Ebbene, perché non vi unite a noi per questi cinque giorni? Dopodiché sarebbe possibile riprendere il ritiro di giugno come anteprima del Seminario estivo! È sufficiente che telefoniate a casa, disdiciate il vostro volo e… siete liberi. Continua a leggere “Discorso del maestro Zen Thich Nhat Hanh del 21 giugno 2009”
Lezioni, ripetizioni on line (via internet) di storia e filosofia
A partire dall’anno scolastico 2011-2012 è attivo un servizio di lezioni/ripetizioni di storia e filosofia riservato agli studenti liceali interamente gestito via internet. Lo studente che ne facesse richiesta potrà usufruire di specifiche consulenze didattiche mirate al superamento di prove scolastiche, dalla verifica orale sino all’esame di stato, assistito da un docente professionista con un paio di decenni di esperienza alle spalle, esperto di pratiche filosofiche, di consulenza didattica e di nuove tecnologie. Per le consulenze oltre alle risorse didattiche presenti nel blog si utilizzerà un servizio multipiattaforma (posta elettronica, messanger, video-conferenza, facebook) a seconda delle esigenze prospettate dal singolo studente. L’assistenza offerta non si limiterà alla preparazione in senso nozionistico, ma mirerà, per quanto è possibile, a sollecitare capacità e abilità dello studente, ad aiutarlo sul piano motivazionale, a guidarlo in un percorso di maggiore autonomia con l’individuazione di un metodo di studio personalizzato. I costi, grazie all’uso della rete, saranno quanto mai contenuti. Per maggiori informazioni o per richiedere una consulenza didattica inviate una mail.
James Hillman Linguaggio della psicologia e linguaggio dell’anima
Occorre che il linguaggio corrente delle psicoterapie sia ricondotto alla sua dimensione storica, affinché il linguaggio dell’anima possa esprimersi.
Ritorniamo indietro alle due modalità di descrizione, ai due linguaggi (il linguaggio della psicologia come scienza e il linguaggio dell’anima umana). Una delle duplici modalità di espressione deriva da Plotino che nelle Enneadi distingue due tipi di movimento riguardanti i fatti umani. Il moto dell’anima è circolare. Il passo dice «L’anima vive in rivoluzione attorno a Dio, al quale si stringe con amore, mantenendosi fino all’estremo delle sue forze vicino a Lui come l’Essere da cui tutto dipende e, poiché non può coincidere con Lui. essa gli ruota intorno». D’altro canto il moto del corpo differisce da quello dell’anima. Egli dice: «… il cammino in avanti è caratteristico del corpo…». Questo brano ci fornisce indicazioni sul perché il linguaggio della psicologia fugge per le tangenti, tocca solo tangenzialmente l’anima. Il modello delle sue scoperte e delle sue invenzioni segue il cammino in avanti della ricerca somatica. Continua a leggere “James Hillman Linguaggio della psicologia e linguaggio dell’anima”