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Che cos’è insegnare?


Questo è insegnare
(Chico Xavier Pilado, Nada y alrededores, aforisma 315)
A scuola. Vi lancio pietre una volta aguzze. Per voi le ho ben smussate e amorevolmente smerigliate. Al loro interno diamanti grezzi di gioia e dolore, tetraedri di carne e sangue che la pressione senza tempo di vulcaniche passioni giovanili mi formò dentro. Un po’ alchimista, un po’ speleologo, un po’ teatrante, mai del tutto serio, il vostro gioioso silenzio rumoroso debbo infrangere ticchettandole su coscienze o, quanto meno, orecchie. Pietruzze d’emozione, di concetti vestite. Ma pietre, pur sempre pietre. Devon colpire, lasciare un segno, abbluire un’ammaccatura per far effetto. Provocare altre passioni. Ché altrimenti sarebbe vano scagliarle con tanto fervore. Produrre un’eredità d’impeti vitali agghindati di parole affinché fecondino altre persone, sempre nuove, sempre le stesse, gli occhi ridenti di giovinezza. O quanto meno provarci. Questo è insegnare. Fugare niente e su nulla gettar fondamenta.

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Breve nota intorno alla questione dei “voti” a scuola


Il problema, in generale, non sono i voti in sé, che devono esserci se non vogliamo che la scuola cessi di avere “valore legale”. Tutto si basa sulla “relazione” tra docente e studente. Ovvero sulle persone in sé e sulla capacità del docente di instaurare e coltivare tale relazione. Il messaggio deve essere, in poche parole, il seguente: «Io e te stiamo dalla stessa parte. Cerchiamo di lavorare insieme affinché il tuo percorso di studio sia il più interessante, produttivo e coinvolgente possibile. I voti sono solo mezzi, segnapunti che servono per fissare alcune linee di valutazione condivisa. L’importante è rendersene conto. Un 4 preso in maniera consapevole può stimolarmi a fare meglio oppure può anche indurmi a riorientarmi. Nessuno di noi sa fare o può fare tutto. Valutiamo la prova, non la persona, che noi amiamo esattamente per quella che è. Impara anche tu ad amarti.»
Il nostro problema principale è la metafisica dilaniante ed alienante del sistema: debiti/crediti, persona-numero, ansia da prestazione dovuta alla contraddizione strutturale tra contenuti valoriali che si dovrebbero insegnare a scuola e l’atroce desertificazione di tali valori nella società civile. Punto. Il sistema neolib continua a propinarci burocrazie, numeri, di più, di più, altri compiti, altre sigle, altre stronzate. Il tempo che dovremmo trascorrere con gli studenti o in funzione degli studenti lo dobbiamo impegnare in una miriade di ridicole burocrazie in cui descriviamo in maniera distorta e compulsiva attività che non avremo poi il tempo di realizzare. Scava e riempi di terra la stessa fossa. Il merito si misura così: le mancette si prendono grazie a questa abilità automortificante nel produrre cartacce elettroniche fatte di niente montato su niente. Scrivere un libro o un articolo scientifico per il sistema è merda. Merda pericolosa, peraltro. Potrebbe indurre qualcuno a pensare.
Non ci sono altri modi di fare scuola se non in termini “resistenziali”. Provare a tutti i costi a mantenerci umani e consapevoli della nostra umanità in un oceano di idiotismo disumanizzante. Provare a sfruttare tutte le disconnessioni e fessure che il sistema ci lascia. Coinvolgere i ragazzi in questa attività ormai rivoluzionaria e antisistema espressa dal verbo “studiare”, studiare cose vive, studiare per dare valore alla vita e a se stessi, studiare e basta.

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In morte del liceo classico


In morte del liceo classico. Del liceo classico in particolare, dei licei in generale, della trasmissione culturale del tempo che fu. L’essenza del liceo classico è impermeabile ai dettami imposti dal sistema neo-liberale, alle logiche di mercato, alla dolorose, ridicole maschere della neo-lingua (individualismo è inclusione, conoscenza è ignoranza, eccellenza è normalità sistemica, ecc.). Glorioso il nocciolo duro di matrice gentiliana, che, come ponte romano, ha resistito sin qui alla fiumana del riformismo transumano e disumanizzante che ha caratterizzato gli ultimi tre decenni. Abbiamo resistito, ma siamo gli ultimi: siamo quelli del tempo che fu. Un’epoca sta finendo. Gli antichi dèi stanno abbandonando il continente. Il grande Pan è morto [Ὁ μέγας Πὰν τέθνηκεν]. Viandante, possa la notizia camminare sulle tue gambe. Il nostro tempo lo abbiamo ben vissuto. Nulla rimpiangiamo. La polvere e l’oblio non temiamo. Viator, vale.

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Scuola, riforma, tecnologie (intervista al prof. Francesco Dipalo)


L’intervista è del 2016, sei anni fa. Mi pare che la situazione, nel complesso, sia ulteriormente peggiorata. In più rispetto a prima abbiamo qualche nuovo banco monoposto, con o senza rotelle, e diversi bancali di mascherine FCA by Elkann inutilizzate (ed inutilizzabili). Un fenomeno che è diventato decisamente più rilevante riguarda il disagio psico-relazionale di studenti e docenti. I certificati medici fioccano come d’inverno la neve in Siberia. Il disagio socio-economico, che ha chiare responsabilità politiche, viene avvertito e declinato per lo più in termini di sofferenza individuale. Vedi, per esempio, il “bonus psicologo”. Non dico che non esista il disagio personale o che il singolo in difficoltà non possa e non debba trovare sostegno in quelle date figure professionali, ma che socialmente (e metafisicamente) parlando si fa ricadere sul singolo individuo la responsabilità (o il senso di colpa) di “avere qualcosa che non va”, di “essere lui/lei a non funzionare bene” (e non gli assurdi, disfunzionali, inumani standard sociali ai quali siamo sottoposti). Sofferenza inaudita accentuata da una solitudine tutt’avvolgente.

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Time out per la scuola pubblica


Sette anni fa l’ultimo sciopero unitario e relativa manifestazione di piazza degna di nota. Peraltro inconcludente. Era l’epoca della vergognosa “riforma Renzi” passata in maniera quasi integrale con gli effetti che conosciamo bene. La distruzione progressiva della scuola pubblica in direzione dell’attuale sistema buro-tecno-aziendalista è proceduta innanzi come un rullo compressore, senza incontrare ostacoli di sorta.
Con il mondo della scuola e la classe docente in particolare si sono utilizzate, a mo’ di sperimentazione, armi che abbiamo visto all’opera in maniera ancor più marcata e parossistica in questi ultimi due anni di infame gestione psico-politica della pandemia (ed ora della guerra non dichiarata ma effettiva): propaganda a reti unificate, su TV generaliste, stampa e, soprattutto, social, finalizzata alla denigrazione e allo svilimento della classe e della professione docente (il tormentone dei tre mesi di ferie e delle diciotto ore di lavoro e altre amenità del genere ripetute goebelsianamente fino alla nausea), alternata al mantra di ridicole blandizie o vuote promesse gettate in pasto ai futuri “elettori” al momento dell’insediamento di questo o quel ministro (ma ormai anche le “elezioni” si sono ridotte a farsa saramaghiana); nuove funzioni, incarichi e compiti aggiuntivi introdotti surrettiziamente a colpi di decreti-legge e di circolari ministeriali al grido “l’Europa lo vuole!” (leggi: la fondazione Agnelli lo vuole!), ovviamente a costo zero per la PA, quindi non retribuiti o retribuiti con mancette da garzone di bottega, a scapito dell’essenza della scuola ovvero la didattica e lo studio; il tutto accompagnato da inani carichi di ridondate, onnipervasiva burocrazia. Le piaghe aperte, purulente, del nostro sistema scolastico sono state lasciate lì a trasudare pus: edifici cadenti o bombardati, strutture laboratoriali insufficienti, classi-pollaio (da 30 e più studenti, nonostante il calo delle nascite), percorsi di formazione e di inserimento nel mondo del lavoro demenziali, tortuosi, liquidi, all’insegna della privatizzazione delle strutture pre-concorsuali e della formazione, vere e proprie “mazzette” da anticipare per poter avere un posto a tempo indeterminato (almeno una volta la tangente da pagare per superare un concorso pubblico, pur cospicua, era una tantum).
Nel frattempo, le istituzioni della Repubblica fondata sul Lavoro, sfruttavano (e sfruttano) il lavoro di decine di migliaia di precari… al punto che ora il MI non ha più fondi per risarcire gli autori delle cause passate in giudicato.
Ora, mentre il rinnovo del contratto scaduto nel 2018 langue (la nostra è l’unica categoria della PA rimasta senza contratto), l’ineffabile ministro Bianchi ha deciso di approfittare del clima “emergenziale” per dare il colpo di grazia a quel che rimane della scuola pubblica, con una riforma che mira ad introdurre per contratto a costo zero quelle (pseudo)attività aggiuntive non ancora contrattualizzate e ad estendere il calvario della formazione privatistico-oligarchica (e spesso banditescamente gestita) ai docenti in servizio, con la solita inascoltabile litania delle “nuove tecnologie”, dell'”inclusione”, della “resilienza”, ecc.
Che armi abbiamo? A mio avviso, il blocco delle attività aggiuntive, finché sarà possibile, è l’unica strada ancora legalmente percorribile, l’unica in grado di mettere davvero in crisi il sistema buro-tecno-aziendalista della scuola. Nessuno per contratto – ma ancora per poco come si è detto – è obbligato ad assumere incarichi extra (coordinamenti vari, progetti, incarichi, PCTO e altre goliardate a guadagno zero e ad alto impatto psico-burocratico).
Gli scioperi vecchia maniera si sono dimostrati sin qui inutili, un ferrovecchio del secolo scorso. Nelle scuole superiori – diverso, entro certi limiti, il caso di elementari e medie spesso assimilate a luoghi di “baby-sitting” – non creano alcun disagio, anzi sono i benvenuti da parte degli studenti e della PA che risparmia decine di migliaia di euro. A maggior ragione se si tratta di scioperi indetti da pur nobili ma corpuscolari sigle sindacali che viaggiano su una rappresentanza da zero-virgola. L’inazione dei fu grandi sindacati confederali, ridotti oramai a CAF di categoria, è stata sin qui vergognosa, provocando l’emorragia di migliaia di iscritti.
Bloccare gli scrutini è praticamente impossibile in base ad un codice di autoregolamentazione firmato dagli stessi sindacati nel 1999. Dunque, allo stato attuale dei fatti si tratta di una via “meontologica”.
Inutile ripeterlo però. La classe docente non esiste più: si è estinta con la fine del “Secolo Breve”. Il ruolo delle RSU nelle scuole è poco più che farsesco. Fino ad ieri è servito, fondamentalmente, a contrattare la distribuzione delle briciole dei fondi di istituto, cioè a giocare con la classica coperta di Linus. Non c’è più tempo. A maggior ragione, e in linea con quanto registrato sin qui, a mandare avanti le scuole in termini di studio e didattica sostanziale (con o senza LIM: la didattica è una faccenda “umana” non piegabile in senso “trans-umano”) dall’anno prossimo saranno un certo numero di sfigati “old style” con alcuni colleghi impegnanti strenuamente in eterei e snervanti corsi di formazione su pacchetti di “niente” con il miraggio di una mancetta da intascare da qui a tre anni. E a dire che Parmenide, il terribile padre dell’ontologia occidentale, aveva negato che la via del non-essere fosse percorribile…

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La barbarie è servita


In questi ultimi anni noi insegnanti ci siamo letteralmente fatti in quattro e abbiamo tollerato di tutto. Ma c’è un limite di moralità, di dignità oltre il quale sento non si possa ulteriormente arretrare. Il confine della barbarie è sopportare che alcuni colleghi, che alcuni lavoratori, in nome di una disposizione ministeriale che non ha alcuna palese giustificazione sanitaria, di sicurtà o di opportunità educativa e didattica, dopo essere stati privati per mesi del salario e della loro attività lavorativa, siano costretti a riprendere servizio in condizione di “paria”, demansionati, impossibilitati finanche ad intrattenere sul posto di lavoro relazioni umane minimali. Comunque personalmente la si pensi, o la si sia pensata, a proposito dell’efficacia sanitaria della campagna vaccinale a scuola e della gestione politica e massmediatica della pandemia, ora che la magistratura, con i suoi tempi, ha costretto l’esecutivo a reintegrare i colleghi che non hanno voluto (o non hanno potuto) ottemperare all’obbligo vaccinale, sottoporli a tale trattamento è inutile, insensato, infame. Senza considerare che, con l’obbligo di sottoporsi a tampone ogni 48 ore, sono probabilmente le persone potenzialmente meno “infettive” che mettano piede a scuola.

I diritti perduti dai lavoratori in questo frangente storico – mi auguro di sbagliare grandemente – , difficilmente verranno recuperati. Siffatta è l’eredità che lasciamo ai nostri figli, noi che dai nostri padri ed avi non abbiamo imparato la lezione. Pessimi insegnanti, in questa caricatura di “Repubblica fondata sul lavoro”. Obbligati, peraltro, alla triste pantomima burocratica della “educazione civica”. Si aggiunga a ciò il requiescat dei sindacati, anzi dell’idea stessa di “sindacato”. La pietra continuerà a rotolare lungo la china: nei mesi a venire subiremo altri “tagli”, altre limitazioni, saremo ancor più individualizzati ed in solitudine. Altri diritti si andranno smarrendo nelle nuvolaglie indistinte del passato in nome di un eterno presente fatto di emergenze, di terrorismo, di guerra di tutti contro tutti.

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La scuola è (quasi) morta


Correva il mese di settembre dell’anno 2019, incipit del secondo governo Conte. L’allora neoministro dell’istruzione, Fioramonti, nell’assumere l’incarico chiese gli venisse messo a disposizione un portafoglio di tre miliardi di euro per iniziare a metter mano all’annoso problema dell’istruzione italica. Contratti da rinnovare, edifici da ristrutturare, personale da formare e svecchiare, ecc. Questione di serietà e dignità quasi minimalista. Governo e Parlamento nicchiarono fino a fine 2019. Non era aria. Il ministro Fioramonti diede le dimissioni. Un gesto di grande coerenza politica ed umana. Gli succedette la ministra Azzolina che, da parlamentare, aveva presentato un disegno di legge per l’eliminazione delle cosiddette “classi pollaio”, rimasto, manco a dirlo, lettera morta. Intanto covid bussava alle porte. Il combinato di pandemia e psico-pandemia si abbatterono sul nostro paese. Situazioni di emergenza affrontate come sappiamo. Quanto meno il secondo governo Conte provvide a rimpinguare le buste paga dei lavoratori dipendenti (in cui rientra anche il personale scolastico) con detrazioni ed assegni familiari più congrui (lontani dalla media europea, ma non disprezzabili: ci si attacca a tutto). Di investimenti significativi per la scuola manco a parlarne. Ma, ripeto, si era in piena emergenza (per quanto, pare si sia sempre in emergenza, per un motivo o per l’altro, da una quindicina di anni a questa parte). Si disse che per iniziare degnamente il nuovo a.s. 2020-21 si erano prese misure efficaci, rivoluzionarie: delle norme nuove di zecca (lo spassosissimo distanziamento di 90 cm dalle “rime buccali”) e i famosi banchi monoposto con o senza ruote. Le norme non costano niente (salvo lo stipendio dei portaborse che devono scriverle), mentre per i banchi qualche milioncino di euro fu sborsato. La successiva gestione Bianchi, dopo la defenestrazione di Conte e l’ascesa al potere del salvatore della patria Mario Draghi, ha prodotto, in vista dell’a.s. 2021-22 alcuni interventi degni di nota. A parte le solite torrenziali e spesso contraddittorie circolari ministeriali e l’accanimento contro i nuovi nemici della patria, i non-vaccinati, i titubanti, i meri “tamponati”, di soldi un po’ se ne sono spesi, per fortuna. Qualche collega supplente in più come “personale covid” a coprire i vuoti lasciati dal fuoco incrociato del morbo e della burocrazia verde e un torrente di mascherine distribuite a pioggia, sulla scia di quanto aveva precedentemente fatto il commissario Arcuri, immediatamente silurato da Draghi e sostituito con il generale dei vaccini Figliuolo. Si calcola che le mascherine chirurgiche che inondano le nostre scuole costino circa 1 milione di euro al mese. Giacché la gran parte giace inutilizzata da molti mesi, si stima si dovranno spendere altri 700.000 euro mensili per smaltirle. Perché non vengono usate? In primo luogo perché fanno schifo. Se non ci credete provate ad indossarle voi. Basta entrare nella scuola che avete sotto casa: ve le regalano a pacchi. Poi perché servono a poco o a niente. Lo sostiene qualche complottista fiancheggiatore degli sfuggenti no-vax, un Emmanuel Goldstein de noantri? No, sono le stesse circolari ministeriali che hanno imposto, con un anno e mezzo di ritardo, l’uso delle FFP2 che la gran parte dei docenti e molti studenti usano ininterrottamente da due anni pagando di tasca loro. Chi le produce siffatte supertecnologiche mascherine? FCA Fiat Chrysler Automobiles N.V., azienda italo-statunitense di diritto olandese, nel senso che le tasse non le pagano qui da noi. Per pura coincidenza si tratta della stessa azienda proprietaria del gruppo GEDI, editore de La Stampa, Repubblica, il Sole24ore, ecc.
Nel frattempo il tanto sospirato rinnovo del contratto è addirittura scomparso dai radar della stampa (ora c’è la guerra) a tre anni e passa dalla sua scadenza (per non parlare del mitico 2013, “l’anno perduto” dell’era Monti). I benefici concessi dal governo Conte sono stati azzerati dalla riforma Draghi: un taglio netto di 100-150 euro mensili. Per capirci l’assegno familiare ora erogato dall’INPS per figlio a carico (se hai un ISEE superiore a 40.000 euro: basta una casa di proprietà…) è pari a ben 25 euro mensili che si vanno ad aggiungere ai 12 euro concessi una tantum per aver prestato servizio durante i primi, eroici tempi della pandemia, quelli in cui si cantava l’inno nazionale dai balconi, si maledivano i cinesi (né i no-vax né i no-war erano ancora spuntati all’orizzonte).
Nelle foto provo a mostrarvi che fine hanno fatto una parte dei pochi milioni di euro che si sono spesi per la scuola, una miseria, utile comunque a dare la paghetta ai soliti noti.
Di banchi lasciati a marcire e di mascherine inutilizzate ne abbiamo a gogò. Ma intanto in aula ci manca la luce elettrica e se la giornata è piovosa per fare il compito in classe dobbiamo ricorrere alle torce dei cellulari, più o meno imbacuccati per via dell’aerazione modello Bianchi: finestre aperte e pedalare.
Ora, nel programma di filosofia abbiamo anche un certo Marx. Ci tocca spiegarlo. Niente di troppo complicato. Ecco un’equazione che siamo tutti in grado di comprendere: lavoro = tempo-vita = denaro = merce = denaro. Andiamo all’indietro: qualcuno ha guadagnato del denaro con la vendita di banchi, mascherine ecc. (merci) pagate con denaro pubblico che si ricava attraverso le tasse dal lavoro ovvero dal tempo-vita di ciascuno di noi. Ecco, posso rattristarmi immaginando che una parte dei miei contributi fiscali ovvero del mio lavoro, del tempo-vita che trascorro ogni giorno con i ragazzi a scuola e alla mia scrivania a studiare, mi sia stato sottratto, alienato e abbia preso la forma oscena di queste merci. Ogni giorno, passando davanti a queste cose, penso a tutto quello di cui manchiamo e di cui avremmo bisogno, penso a quanto ci prendono per il culo a reti unificate e un senso di nausea mi assale. Che sia maledetto Emmanuel Goldstein!
Morale: qualche giorno fa i nostri eroici parlamentari, su imbeccata del governo, hanno votato nel breve volgere di una serata un finanziamento extra di 13 miliardi di euro in armamenti (al netto di quelli già inviati gratuitamente per sostenere la causa ucraina) da spendere nei prossimi anni. Poche ore per trovare 13 miliardi. Un lustro per non trovare una lira in più per la nostra scuola. Salvo, appunto, quei milioni di euro spesi in banchi e mascherine.
Voi, dico voi, che gli fareste ad Emmanuel Goldstein se ve lo trovaste per le mani? Rassegniamoci: il nostro paese è morto. Non abbiamo a che fare con un liquidatore fallimentare, bensì con un addetto alle pompe funebri.
Che sia maledetto Emmanuel Goldstein.

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È tutta colpa di Cavallo Pazzo


Classi falcidiate dalle assenze ad una settimana dalla ripresa – si fa per dire – della scuola. Oltre ai positivi al covid, pochi per fortuna (tutti quanti stra-vaccinati peraltro), un numero elevatissimo di quarantene preventive e di ragazzi alle prese con malattie da raffreddamento (nevralgie, congiuntivite, raffreddori, ecc.) per l’areazione a finestre spalancate consigliata da questo ministero di ectoplasmi, di quaquaraquà. Al di là della retorica di regime, il “metro di distanza là dove è possibile”, la “areazione a finestra” (sempre che la maniglia non ti rimanga in mano), le “mascherine chirurgiche o simil-chirurgiche” (quando da due anni si sa che ad assicurare una protezione degna di nota sono le FFP2 che, chi può, si compra a sue spese a costi affatto calmierati), il nulla assoluto, a parte la campagna vaccinale (che da mesi riguarda a sirene spiegate tutto il paese, non più soltanto la scuola). Hanno prodotto decreti su decreti con norme cervellotiche e in gran parte inapplicabili. Hanno seminato odio, sospetto, discriminazioni tra compagni, malumori, hanno distrutto quel che rimaneva di comunità relazionali attive e solidali. Ci sarebbero voluti aeratori, aule più capienti, meno studenti per classe (la media attuale è di 25-27), tamponi distribuiti preventivamente agli studenti (come in GB o in Francia) e, soprattutto, mascherine FFP2 per tutti, a cominciare dalle persone più fragili. Niente di tutto questo è stato fatto. Però abbiamo ricevuto casse e casse di mascherine più o meno inutilizzabili. Migliaia e migliaia di euro gettati via di cui, come sempre, nel paese di Badoglio e Pulcinella, non risponderà nessuno. Notare che le mascherine sono prodotte da FCA (erede di quella che fu la gloriosa FIAT degli Agnelli, cui il popolo italiano ha pagato sovvenzioni per più di un secolo a partire dalla Grande Guerra). Fra un po’ di scuola cesserà di occuparsi anche la retorica di regime. Ora si parlerà di alta politica. Ovvero se al Quirinale dovrà andare Berlusconi oppure Draghi. Due personaggi degnissimi e, sia pure in maniera diversa, altamente rappresentativi del nostro paese. Intanto quel po’ che rimaneva del welfare è stato compresso o annientato, a cominciare da assegni familiari e detrazioni fiscali per le famiglie con figli, per gli invalidi civili e altre categorie di cittadini in difficoltà… Siamo politicamente e civilmente morti e non ce ne siamo accorti…

Dimenticavo: stando alle ultime dichiarazioni del Presidente della Repubblica in pectore dovremmo credere, “scienti-fideisticamente”, che tutta la responsabilità di questa débâcle ricadrebbe sulle spalle di “Cavallo Pazzo”, alias l’Ultimo dei Mohicani, ovvero quell’unico collega, quel reietto, che è costretto da settimane a casa senza stipendio per non aver voluto munirsi di supergreen-pass rinforzato… Oggi sono veramente arrabbiato quindi contro di lui scaglierò la maledizione che colpì Baruch de Espinoza: «Con il giudizio degli angeli e la sentenza dei santi, noi dichiariamo Baruch de Spinoza (Cavallo Pazzo) scomunicato, esecrato, maledetto ed espulso, con l’assenso di tutta la sacra comunità […]. Sia maledetto di giorno e maledetto di notte; sia maledetto quando si corica e maledetto quando si alza; maledetto nell’uscire e maledetto nell’entrare. Possa il Signore mai piú perdonarlo; possano l’ira e la collera del Signore ardere, d’ora innanzi, quest’uomo, far pesare su di lui tutte le maledizioni scritte nel Libro della Legge, e cancellare il suo nome dal cielo; possa il Signore separarlo, per la sua malvagità, da tutte le tribú d’Israele, opprimerlo con tutte le maledizioni del cielo contenute nel Libro della Legge […]. Siete tutti ammoniti, che d’ora innanzi nessuno deve parlare con lui a voce, né comunicare con lui per iscritto; che nessuno deve prestargli servizio, né dormire sotto il suo stesso tetto, nessuno avvicinarsi a lui oltre i quattro cubiti [circa due metri], e nessuno leggere alcunché dettato da lui o scritto di suo pugno».

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Mancano le parole per dire


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Nonostante covid, il dividendo per le classi prime, il prossimo anno, rimarrà fermo a 27! I cittadini devono averne contezza


https://www.miur.gov.it/formazione-classi

Il dividendo per formare prime classi negli istituti superiori rimarrà anche per il prossimo a.s. 27. Avete capito bene: minimo 27 alunni per classe, salvo deroghe per la presenza di studenti disabili. Il che vuol dire, ad esempio, che in presenza di 34 iscritti nel nostro liceo classico potremo formare una sola classe di 27 studenti (e spicci?) mentre gli altri saranno invitati a cambiare corso o a cambiare scuola. Si sarebbero potute fare due classi di 17-18 studenti (che con eventuali ripetenti sarebbero arrivate a 19-20). Non proprio l’ideale (in altri paesi, la tanto celebrata, a chiacchiere, Finlandia – lì non si danno compiti! – la media è di 12-15 studenti – rimangono a scuola tutto il giorno, sono seguitissimi, lo credo che non c’è bisogno di dare tanti compiti a casa!), ma insomma… E poi gli “idiotes” (menti privatistiche) ministeriali ci parlano di didattica personalizzata, di recupero delle competenze, del prolungamento dell’a.s… Vi rendete conto? Basta un po’ di matematica, di quella che si fa alle elementari… Ecco. Pensate, inoltre, al disagio, soprattutto in epoca di covid, del dover far viaggiare un ragazzino/una ragazzina di 14 anni da Bracciano a Roma. Mezzi sovraffollati, meno ore di studio, un ambiente totalmente nuovo, ecc. Questo comporterà anche un taglio di posti di lavoro nella nostra scuola, con colleghi, magari non più giovanissimi, costretti a viaggiare e/o a coprire spezzoni di cattedra su due o più scuole. Se nemmeno covid con tutta la retorica fatta sulla pelle della gente, degli studenti, delle famiglie, dei lavoratori della scuola, retorica che, a questo punto non esito a definire “propaganda” (non le decisioni politiche, discutibili in democrazia, ma il mare di notizie approssimative o di vere e proprie falsità che ogni giorno si riversa sul mondo della scuola), è servito a far abbassare il dividendo famigerato di gelminiana memoria, ebbene, non si faccia finta di niente: la campana a morte della scuola pubblica è suonata da anni e questi sono gli ultimi rintocchi. I soldi, se ci sono, vanno spesi per diminuire il numero di studenti per classe e per migliorare gli ambienti di lavoro. Banchi a rotelle, entrate scaglionate, turnazioni, corsi su corsi, burocrazie aggiuntive equivalgono a cerotti messi a casaccio su un corpo divorato dal cancro…. Senza considerare un’ulteriore dolorosa beffa: ai miei studenti devo pure prenderli per il sedere facendo finta di insegnare loro a parole quei valori civici che nei fatti, complice me nolente di scelte dissennate, debbo quotidianamente negare come servitore pubblico.

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Scuola, riforma, tecnologie


Intervista al prof. Francesco Dipalo a cura della dott.ssa Giulia Fagioli (03/2016)
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Scuola di vita


Come sempre faccio mie le parole dell’amico Pilado:

«El corazón de la capacidad profesional del maestro radica en saber cómo cultivar independientemente su propia inteligencia empática y actitudes relacionales. La esencia de su ética profesional consiste en sentirse responsablemente involucrado en esta tarea. La profunda motivación de la profesión docente gira en torno al deseo imperecedero de aprender, saber no saber, saber cómo involucrarse. Es una profesión que se aprende en la tienda: cosas para artesanos que “manejan la humanidad explosiva”. Requiere el coraje de un blaster o la imprudencia de un granadero. Riqueza de explosiones controladas de la humanidad».
(Chico Xavier Pilado, Escuela de vida)

«Il cuore della capacità professionale del docente sta nel saper coltivare autonomamente la propria intelligenza empatica e le proprie attitudini relazionali. L’essenza della sua deontologia professionale consiste nel sentirsi responsabilmente investiti da tale compito. La motivazione profonda della professione-docente ruota intorno alla sempreverde voglia di imparare, al sapere di non sapere, al sapersi mettere in gioco. È un mestiere che s’impara a bottega: roba da artigiani che “maneggiano umanità esplosiva”. Richiede il coraggio di un artificiere o l’incoscienza di un granatiere. Ricchezza d’esplosioni controllate d’umanità».

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Frasi, citazioni e aforismi sugli insegnanti e l’insegnamento


[Fonte: https://aforisticamente.com/2014/08/26/frasi-citazioni-e-aforismi-sugli-insegnanti-e-insegnamento/ ]

Nell’insegnamento non si può vedere il frutto di una giornata di lavoro. È invisibile e rimane così, forse per venti anni.
(Jacques Barzun)

Un insegnante ti prende per mano, ti tocca la mente, ti apre il cuore.
(Anonimo)

Insegnare è toccare una vita per sempre
(Anonimo)

Forse è questo insegnare: fare in modo che a ogni lezione scocchi l’ora del risveglio.
(Daniel Pennac)

E’ l’arte suprema dell’insegnante: risvegliare la gioia della creatività e della conoscenza.
(Albert Einstein)

Gli insegnanti ideali sono quelli che si offrono come ponti verso la conoscenza e invitano i loro studenti a servirsi di loro per compiere la traversata; poi, a traversata compiuta, si ritirano soddisfatti, incoraggiandoli a fabbricarsi da soli ponti nuovi.
(Nikos Kazantzakis)

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Prof: “tre mesi di ferie”, “18 ore di lavoro” e altri luoghi comuni: non ne usciremo finché…


Leggo il solito articolo dal titolo Il Lavoro Sommerso degli Insegnanti Vale Almeno 800 Euro al Mese.

Sono vent’anni che ci ripetiamo le stesse cose. I pregiudizi dei più sono infondati, d’accordo. È pur vero che il sommerso lo si fa – chi più chi meno – su base volontaria, o con quattro soldi di compenso. E comunque “non si vede”. Col risultato, noto a tutti gli addetti ai lavori, che anche a scuola vige la regola non scritta dei “furbi” e dei “fessi”. Chi non vuole fare niente, di fatto, a parte la mera presenza fisica a scuola e le demenziali “burocazzate”, davvero, è lasciato libero di non fare niente (anche perché, spesso, non sa fare niente o non può fare niente per oggettive condizioni anagrafiche, psico-fisiche, di salute: per esempio, venite voi, a sessant’anni suonati, a lavorare in una classe delle elementari con 25-30 bambini scatenati, un handicap, tre DSA, due BES, ecc.). Lo chiameremo “furbo”? Di fatto, “fur” ladro di tempo e di energie, il suddetto ruba – magari senza volerlo o esserne consapevole – alla comunità tutta e anche a noi, anzi soprattutto a noi, i “fessi”, che oltre al surplus di lavoro “invisibile” ai più, dobbiamo accollarci tutte le criticità del sistema, nonché le contumelie della “clientela” (la cittadinanza si è quasi del tutto estinta). Per non parlare dei “succhiatori di energie”, gli incompetenti relazionali e i professional-autistici, i “signor-no”, pronti a prendere la parola quando si tratta di criticare astrattamente il “sistema”, ma poi sempiternamente assenti quando si tratta di assumersi uno straccio di responsabilità o dare una mano ai colleghi (per non parlare degli studenti loro affidati). Questi – e molti altri che non ho il tempo di descrivere – sono i tipi “sociali o sociopatici” che conosciamo o abbiamo conosciuto tutti. Ebbene, un discorso è collegato all’altro. Perché, purtroppo, noi umani siamo più portati – credo per ragioni culturali e antropologiche – a notare quel che non va, piuttosto che tutto quello che, invece e nonostante tutto, funziona. Così, gli studenti e le famiglie lanceranno improperi, generalizzando, contro l’istituzione in sé – il liceo Pinco Pallino, per esempio – ma si dimenticheranno di riconoscere a Cesare quel che è di Cesare. La questione è eminentemente politica. Finché non si introdurranno percorsi formativi seri per selezionare i nuovi insegnanti, ispezioni per valutare il lavoro di quelli in servizio, scatti di carriera basati sul merito e sul curriculum e valutati da una commissione più o meno imparziale – magari convocata su richiesta del docente che vorrebbe fare uno scatto di carriera, come in Francia – non ne usciremo. Non è possibile, per esempio, che una figura quadro, un vice-dirigente (in assenza del DS di ruolo, molti di noi sanno bene) abbia tassati al 38% o al 41% quei quattro soldi in più che prende. Non è possibile che il lavoro di un coordinatore di classe, alla fine dell’anno, equivalga al costo di una cena in famiglia in un ristorante di seconda (o terza) categoria – o piuttosto a qualche bolletta TIM, che paghiamo anche per poter lavorare da casa collegati 24 h con il registro elettronico. Non lo faranno perché a loro non conviene. La scuola pubblica va semplicemente lasciata a marcire nel suo limo fangoso. In attesa che il privato le si affianchi per cause di forza maggiore (come è avvenuto o sta avvenendo con la sanità pubblica). Tutto qui. Chi non vede questo è semplicemente cieco. È la storia degli ultimi venti anni… Quando si tratta di difendere le istituzioni pubbliche, non dico l’estinta “sinistra”, ma la sedicente “destra sociale” (quella delle barricate nelle periferie contro gli immigrati, per capirci) dov’è? La distruzione del welfare procede a piccoli ma infallibili passi da più di un quarto di secolo, in maniera coerente, sottile, al di là dei discorsi propagandisti, dei cambi di governo, dei colori, neri rossi gialli verdi… Diremo con Hegel che si tratta dello Spirito dei tempi?

Pubblicato in: filosofia, scuola

Kant – Relazione introduttiva al proprio insegnamento nel corso del semestre invernale del 1765-1766


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Immanuel Kant

Relazione introduttiva al proprio insegnamento nel corso del semestre invernale del 1765-1766

traduzione dal tedesco di Francesco Dipalo*

 

Ogni forma di istruzione rivolta alla gioventù reca con sé una difficoltà imprescindibile, che si è costretti a precorrere col discernimento gli anni, e, senza attendere la completa maturazione dell’intelletto, si ha il dovere di impartire cognizioni che, secondo l’ordine naturale, potrebbero essere afferrate solo da una ragione più addestrata ed esperta. Continua a leggere “Kant – Relazione introduttiva al proprio insegnamento nel corso del semestre invernale del 1765-1766”