Babij Jar era un enorme burrone, quasi una forra di montagna, vicino a Kiev. Qui tra il 29 e il 30 settembre 1941 furono gettati i corpi di 33.771 ebrei, secondo i precisi rapporti tedeschi. L’eccidio fu compiuto dal Sonderkommando 4a dell’Einsatzgruppe C con la partecipazione di reparti ausiliari ucraini (vedi la voce “collaborazionismo” in Enciclopedia dell’Olocausto). Migliaia di persone, tra cui donne, bambini e anziani, furono condotte e uccise a Babij Jar anche nelle settimane e nei mesi successivi e fra gli assassinati a sangue freddo, con cinica ferocia, vi erano anche russi, ucraini, zingari, prigionieri di guerra e partigiani. Ma mentre la gran parte delle vittime del primo eccidio si erano presentate “volontariamente”, ignare del tragico tranello celato nei manifesti nazisti, gli ebrei di Kiev sterminati in seguito furono catturati in retate o dopo le denunce della popolazione locale. Alla fine della carneficina, in città si contarono duecentomila morti, metà dei quali a Babij Jar (voce “fucilazioni di massa a Babij Jar” in Enciclopedia dell’Olocausto).
Per chi volesse approfondire la conoscenza dei fatti che hanno portato all’attuale guerra in Ucraina consiglio la visione “parallela” di questi due documentari (il primo del 2015, il secondo del 2016) entrambi “di parte”, a maggior ragione se guardati dall’attuale prospettiva di propaganda bellica. Il fatto che fossero “di parte” o “propagandistici” – o che tali siano stati e vengano considerati dalla critica – sta appunto a testimoniare, in maniera inequivocabile, come in conflitto fosse già in atto molti anni fa. Il braccio di ferro della contrapposta propaganda mass-mediatica era decisamente all’opera, con tutte le distorsioni, parzialità, omissioni o palesi menzogne cui assistiamo oggi. In una prospettiva storica si potrebbe affermare, oso azzardare questa tesi, che il 24 febbraio 2022 altro non sia che un’ulteriore e più drammatica tappa della progressiva escalation bellica (prima “fredda”, poi “tiepida”, ora “calda”) tra il governo USA (con i suoi satelliti NATO) e quello della Federazione russa combattuta in maniera similare alle tante guerre della seconda metà del Novecento, ovvero su un campo di battaglia periferico (anche se, in questo caso, il concetto di “periferico” non vale per la Russia) con intervento delle proprie forze sul campo o, possibilmente, per procura, in modo da non rischiare la guerra termonucleare globale (l’annientamento del pianeta o di una buona parte degli schiavi non conviene nemmeno ai padroni… la mafia insegna). Si comincia destabilizzando un paese geopoliticamente strategico, ovvero rinfocolando conflitti interni più o meno in atto, fino a provocare una guerra civile. A quel punto si interviene (o direttamente con le proprie truppe o indirettamente con l’invio di armi, istruttori militari e contractors – o con tutti questi escamotage insieme) provocando la distruzione del paese “ospite”. Vedi, per esempio, il caso dell’Afghanistan, invaso nel 1979 dall’URSS e poi nel 2002 dalla NATO. Nei riguardi dei paesi in stato di minorità le grandi potenze con i loro apparati finanziari, industriali, militari e mass-mediatici agiscono alla stregua di metastasi tumorali che infettano le cellule sane dell’organismo a cominciare da quelle più deboli. La guerra in Ucraina, da questo punto di vista, è espressione di una forma di neo-colonialismo imperiale, sia dal lato russo che da quello statunitense, nell’ambito di una partita che ha sullo sfondo equilibri ed interessi geopolitici ben più vasti, in cui gli altri coprotagonisti sono Cina e “Area Euro” (dico “Area Euro” perché l’Europa in senso politico non esiste né, probabilmente, esisterà fintantoché non si doterà di un esercito e di una politica estera indipendente, rinegoziando il proprio ruolo subordinato nella NATO o uscendo dalla NATO stessa). Il quadro attuale, in termini geopolitici globali, vede – “paradossalmente” dato che è l’esercito russo ad aver invaso il territorio ucraino (il paradosso è apparente: si tratta di spostare l’obiettivo zoomando dentro o fuori l’attuale campo di battaglia ucraino e avanti o indietro nel tempo) – la Federazione russa sulla difensiva con obiettivi chiari e limitati (nonché dichiarati: riconoscimento del Donbass e della Crimea e neutralizzazione dell’Ucraina), consapevole di non essere in grado di colpire al cuore gli interessi e la base geopolitica di potenza USA. Questo è il motivo, tra l’altro, per il quale il governo della Federazione russa invoca minacciosamente lo spettro dell’uso delle armi atomiche (data anche la sproporzione con l’avversario sul piano della capacità di condurre una guerra convenzionale che si protragga troppo nel tempo). USA e Gran Bretagna mirano, ormai dichiaratamente (ma, insomma, lo si era intuito…) ad una diminutio della potenza russa, lasciando che dissangui le proprie risorse militari ed economiche in quello che si auspica diventi il “pantano Ucraina” o il “Vietnam russo” (o “nuovo Afghanistan” sarebbe più storicamente preciso dire) e/o ad un cambio di regime con la defenestrazione di Putin, magari attraverso una riedizione russa delle tante “rivoluzioni colorate” (vedi l’ “arancione” ucraino del 2004). Un colpo da KO, insomma, che rintroni e metta in difficoltà anche il principale nemico USA a livello globale, ovvero la Cina. Per raggiungere questo obiettivo, però, ammesso che sia possibile, ci vorranno anni, atomica e Cina (nonché BRICS) permettendo. Peraltro, la Russia, come ci insegna la storia, è un osso duro e il suo popolo è decisamente più rotto ai sacrifici e alla sofferenza di quanto non lo siano le plebi occidentali (che i draghisti nostrani vorrebbero, non a caso, sempre più “resilienti”, ovvero in grado di sopportare le gravi privazioni che ci verranno inflitte “per colpa di Putin”, ovviamente). Date queste premesse, la guerra, purtroppo, è destinata a durare ancora a lungo. La speranza che si può ragionevolmente coltivare è che essa tenda progressivamente a “raffreddarsi”, quantunque ulteriori escalation sembrino dietro l’angolo. Comunque vadano le cose, a pagarne le terribili conseguenze sarà il martoriato popolo ucraino – oramai spaccato in due: non dimentichiamoci che all’interno del conflitto NATO-Governo di Kiev-Russia è in atto da anni una guerra civile dalla quale sarà difficile tornare indietro (vedi il caso della ex-Yugoslavia). In seconda battuta, il peso economico della guerra (“solo” economico, auguriamoci) sarà sopportato dalle plebi europee, a completamento del processo neolib di progressivo smantellamento dei Welfare nazionali iniziato dopo la caduta dell’URSS. Senza la Russia (e con rapporti da ridefinire rispetto a Cina, India, Sud Africa, paesi mediorientali) le economie dell’Eurozona si troveranno in posizione decisamente ancillare rispetto all’impero del dollaro (a cominciare dal fabbisogno di risorse energetiche). Nostro interesse sarebbe, in un mondo multipolare, poter coltivare, da una posizione di equilibrio geopolitico, buoni rapporti commerciali e culturali sia con la Federazione russa sia con l’anglosfera, (nonché, va da sé, con la Cina), nel rispetto della sicurezza di ciascuna potenza, affrontando insieme le terribili sfide che l’umanità ha dinanzi, la questione climatica ed ambientale, la pressione demografica, il progressivo esaurimento delle risorse energetiche e delle materie prime. Ma non sarà così. Chi ci governa ha deciso per la guerra. So che non potremo mai vincerla, ma, ricordatevi, la vera guerra in atto, che dovremmo combattere tutti quanti, non è quella della Russia contro Kiev, bensì quella dei diseredati contro le classi dominanti (mi si passi l’uso di una terminologia “rétro”, non compatibile con la neo-lingua). Le uniche armi che abbiamo sono quelle gandhiane della protesta non-violenta, del boicottaggio, dell’astensione. In primo luogo, però, dovremmo provare a combattere la battaglia per recidere i semi di odio e di rabbia che albergano dentro ciascuno di noi. Meno “individui” e più “persone”. Purtroppo, non me voglia Tolstoj, credo che l’umanità abbia esaurito il tempo a sua disposizione per questo.
Tanto per “rinfrescare” un po’ la memoria – peraltro quasi inesistente giacché essa si sviluppa soltanto con lo studio della storia e la valutazione attenta dei documenti – di quanti ritengono che la questione ucraina dati a partire dal 24 febbraio 2022. Quando la stampa nostrana dei fatti d’Ucraina non si interessava né poco né punto e i più a malapena sapevano in che parte del mondo si trovasse. Ora che siamo in guerra si cerca orwellianamente di riscriverne la storia (vedi https://www.lindipendente.online/…/la-strage-di-odessa…/). Niente di nuovo sotto il sole, peraltro (vedi p.e. strage di Katin’). Ignorare la storia, che è per sua natura “complessa”, amorale, intricata – non è la trama del Signore degli Anelli, in cui il Bene si scontra con il Male – o peggio confonderla con la propaganda, appiattirla sul tempo senza dimensione perseguito dall’idiotismo massmediatico, ci porterà diritti verso un periodo, ahimé lungo, di sofferenze fisiche e morali, di privazioni, di rabbia e di odio che non sperimentavamo dalla metà del secolo scorso. Dio non voglia (quale Dio?) che i nostri figli debbano rivivere sulla loro pelle quello che hanno vissuto i nostri padri. Ricordatevi di che pasta siamo fatti.
Ulteriore documentazione
Council of Europe Office https://www.coe.int/en/web/kyiv/report-on-investigations-of-odesa-events Sulla capacità (e sulla volontà) da parte delle autorità del governo ucraino di appurare i fatti di Odessa (2 maggio 2014), questa è la conclusione del Report dell’International Advisory Panel della UE del 4 novembre 2015 (p. 65): «Conclusion: The Panel considers that substantial progress has not been made in the investigations into the violent events in Odesa on 2 May 2014. While this outcome may be explained to some extent by the contextual challenges, the Panel considers that the deficiencies identified in this Report have undermined the authorities’ ability to establish the circumstances of the Odesa-related crimes and to bring to justice those responsible.» Per chi volesse visionare l’intero dossier: https://rm.coe.int/CoERMPublicCommonSearchServices/DisplayDCTMContent?documentId=090000168048610f. Pertanto, liquidare le diverse, alternative interpretazioni degli eventi come mera “propaganda” – sia che “convengano” all’una o all’altra parte in conflitto – è scorretto. Probabilmente entrambe le versioni sono parziali od omissive. Restano le immagini, difficilmente equivocabili (anche se da contestualizzare) e il fatto che la maggior parte delle vittime, ammazzate in maniera atroce, appartengono alla parte filo-federalista. La verità, ammesso che esista una “verità” appurabile in via definitiva – ma questo vale per la gran parte degli eventi storici (si lavora come in un tribunale, cfr. Dossier della UE), è sempre più complessa e sfaccettata. Rimangono, ad ogni buon conto, dei fatti inequivocabili: 1) la quasi totale disattenzione o superficialità della stampa e dei media italiani (ed occidentali) intorno alla vicenda (vedi per esempio https://www.huffingtonpost.it/daniele-scalea/strage-odessa-censura_b_5262168.html oppure https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2014/05/04/odessa-ecco-il-video-shock-dellincendio-in-fuga-dalle-finestre-lue-vuole-uninchiesta14.html). Di “censura” ed “insabbiamento” si parla già nel maggio 2014 e mesi successivi; 2) il clima “caldo” di guerra civile che ha insanguinato l’Ucraina da otto anni a questa parte (vedi anche questo servizio del 2017 https://www.youtube.com/watch?v=lwOKMj9IH4w&t=213s).